domenica 14 marzo 2010

Risvegli


A metà del primo giro mi sento come appena partito. Il sole sembra voler scendere pigramente questo pomeriggio. Indugia perché sa quanto è stato invocato e vuole godere del primo momento di gloria dell'anno. Sono quasi le sei, controllo ripetutamente l'apparecchio al mio polso, non voglio scendere al di sotto delle ultime medie, non posso. Sarebbe come ammettere che il periodo di inattività ha causato conseguenze che invece vorrei semplicemente ignorare. Torno a correre e torno a scrivere, anche il periodo di silenzio non ha cambiato il fervore naturale col quale tento di eguagliare ogni volta una qualche originalità. Cerco di convincermi di questo mentre un altro pensiero si sovrappone al respiro affannato dei 5 km, il giro di boa. Preferisco non ascoltare musica in cuffia, la concentrazione che arriva a far uscire la mente dal corpo ha bisogno di risalire dal rumore della realtà fino a permettermi di osservare me stesso da prospettive diverse: ora dall'alto, ora mi precedo, ora cambio visuale senza perdere di vista quello che il corpo continua a fare. Lo sorveglio ed intanto mi perdo in altri mondi. Penso al legame inscindibile che c'è tra il mio moto fisico e quello creativo, poi a qualche strampalato progetto da iniziare, fino all'incipit di un romanzo giallo, inflazionato, allora potrà essere la sceneggiatura di un noir:

un podista che intravedo da lontano procedere in senso opposto, attrae irresistibilmente il mio sguardo. Mi fisso sulla fascia colorata che ha intorno alla fronte. Non so che cosa ha di curioso, nulla, anzi è strana eppure non so dire il perché. Si avvicina, il suo viso si mette a fuoco sempre più sofferente, drammaticamente contorto, il suo passo è più irregolare, rallenta mentre da segni convulsi di cedimento. I suoi spasmi sono eccessivamente vistosi eppure continuo a guardare quel particolare senza alcun senso. Rallento involontariamente anche io, è ormai di fronte a me come mi avesse disperatamente cercato. Con i suoi ultimi scatti si inginocchia ed afferra i miei avambracci ancora oscillanti sulle giunture. I miei occhi non sono meno spalancati dei suoi, ma non so se ugualmente incrinati a sangue. Allunga il collo in modo innaturale ed emette un respiro che vorrebbe tramutarsi in qualcosa di sensato. Resta così sospeso per qualche secondo. Tutto è fermo ora, l'aria e la natura immobili. Solo quando tutto il resto del suo corpo si accascia privo di totale resistenza, mi sveglio dall'ipnosi e realizzo che un perfetto sconosciuto mi ha appena sussurrato due parole ed ha ora tutte le sembianze di chi non potrà più ripeterle. (...)

Terminate le creative fantasie è ora di rientrare sul corpo: l'allenamento sta per finire e devo essere presente e lucido per schiacciare sul tempo e verificare l'andamento ed il risultato. Poi, con la giusta calma, rientrare a casa e riversare le confuse idee sulla fredda pagina del pc: le prime di una nuova, impegnativa stagione.