lunedì 21 settembre 2009

The dream





Come spesso mi accade, sono le istantanee di situazioni quotidiane ad ispirare i pensieri più intimi. Le riflessioni più compiute sono invece quelle non espresse: trasferite con uno sguardo o con un gesto, con una tensione della voce, con un sospiro intonato per l'occasione.
In questa c'è il futuro, il passato ed il presente. Ci sono io, metaforicamente, e c'è una idea che si è fatta man mano più concreta in chi mi è più vicino. Poi c'è il compiersi di un sogno infantile, forse il vero senso dei nostri sforzi farneticanti. Infine c'è l'infrangersi di una storia che lascia a terra più di una rovina.
Il caso, presentandosi come inaspettato e imprevedibile, ci inganna subdolamente sbattendoci addosso eventi che il più delle volte siamo noi ad aver voluto. Quel sogno, la cosa più concreta che ci resta, anche se sopito, ha la forza di tramandarsi, provare a compiersi di nuovo e ancora reincarnarsi in un'altra storia: assecondarlo è la cosa più grande, e anche più facile, che possiamo fare.

domenica 13 settembre 2009

Il Giro del Morto



In una serata di tardo autunno di molti anni fa alcuni amici stavano correndo sulle colline appena fuori da Alessandria. A parte le villette dalle alte inferriate e le cascine ristrutturate con cani da guardia e piscina, la campagna che attraversavano non doveva essere molto diversa da come si presenta adesso. I freschi sentieri che costeggiano i campi arati lambiscono il bosco quercioso; poi si insinuano nella macchia, diventano improvvisamente ripidi e ancora scoscesi appena dietro una curva. Il notevole dislivello e la vegetazione carica di umido fanno illudere che ci si trovi in un luogo diverso della modesta collinetta poco lontana da una città stesa su di una pianura senza fronzoli, a poche decine di metri sopra il livello del mare.
La nebbia doveva aver assunto, con l'affievolimento della luce del giorno, una consistenza maggiore che forse attutiva persino il rumore dei passi incalcati uno dopo l'altro sullo spesso tappeto di grandi foglie tostate. Non c'erano altri suoni se non gli affanni, pesanti e ritmici, dei quattro. Uno di loro, quello più avanti, scorgeva nella radura qualcosa di scuro, di forma allungata, uno strano fagotto di certo fuori posto. Il suo passo rallentava in modo involontario e impercettibile. L'ombra informe dalla quale il suo sguardo non riusciva a staccarsi prendeva, in pochi secondi, le forme di un uomo grevemente vestito e steso per terra in modo disarmonico. Il suo sussulto spezzava il respiro cadenzato e faceva alzare la testa, appena intorpidita, di tutti gli altri. Le parole, più che altro spezzoni di frasi mal calibrate a causa del fiatone, impiegavano un po' ad uscire. La tensione dei pensieri e dei muscoli cardiaci che continuavano a correre mentre tutti si erano fermati, lasciava un'atmosfera sospesa e quasi irreale. Si stringevano ed indugiavano, poi, destandosi nella forza del gruppo, si avvicinano all'erba alta oltre il primo solco che arginava la stradina.
Da quel momento le mosse, i pensieri ed i commenti prendono forme diverse in base a come l'episodio, pur se di poco conto, è stato più volte raccontato negli anni a venire, facendo rielaborare e deformare i ricordi di quella sera. Anche lo spaventapasseri, trascinato a terra da una folata o da una tempesta, vestito di panno nero o di velluto, con cappello a larga tesa oppure con la testa avvolta in una sciarpa di lana grezza, sembra sia sparito la mattina successiva, mai più ricollocato in quella parte di campagna e mai più sentito nominare dai contadini della zona. Allontanatosi, probabilmente, a causa di qualche altro strano evento naturale, tra la foschia penetrante di queste piccole ma enigmatiche colline, appena fuori dalla città.

Questa la mia elaborazione di un aneddoto che questa stamattina uno degli organizzatori storici della gara podistica "Giro del Morto", al quale avevamo chiesto l'origine del nome della corsa, ci ha gentilmente raccontato.

sabato 5 settembre 2009

De profundis


Caro Amico lontano,
mentre ti scrivo vedo sullo sfondo i colori dorati, a tratti polverosi, della campagna viterbese sul finire di questa caldissima stagione. Sono nove giorni che siamo nascosti nel nostro nuovo rifugio agreste. Volevamo scoprire se il contatto quotidiano con la natura poteva attagliarsi alle esigenze e alle abitudini di vita che negli anni abbiamo artificialmente acquisito; se questo può essere il luogo dove un giorno vivere serenamente insieme a valori recuperati dal passato o se resterà un pittoresco "buen retiro", una fuga momentanea dalla frenesia, il posto dove meditare, scrivere pensieri o rimanere seduti sull'erba immersi nelle pagine di un libro. E proprio la lettura, il riposo, poche parole tra intimi, sono le nostre occupazioni attuali. Non abbiamo televisione, nemmeno la radio, con la quale ero abituato a convivere morbosamente, non si sfogliano quotidiani da giorni. Tutto, intorno a noi, sembra essersi calibrato in modo da scorrere il più lentamente possibile. Ma questo travolgente e immoto susseguirsi del tempo si interromperà, brutalmente, domani col nostro rientro in città. Lunedì le facce delle persone, gli spostamenti già segnati, i gesti scanditi e le frasi sempre uguali torneranno a far parte del nostro mondo conosciuto, lasciando solo pochi e fuggenti istanti per chiedersi che cosa ha un senso e che cosa no.
Un rapido cambiamento del cielo ha ora portato un temporale rumoroso ed una pioggia che pare arrivare da secchi con grandi buchi. Era il segnale che attendevo. Ora son certo che da domani, insieme alle cose più monotone, torneranno anche le certezze che ci rassicurano, le piccole solidità conquistate nel tempo, le poche persone fidate con le quali centellinare intesa e condividere fragilità.
Tutto questo, son certo, sarà il senso anche del tuo rientro che attendo, pertanto, con impaziente ed irrequieta noncuranza.