giovedì 23 febbraio 2012

Leggero

Ventun'anni, quattrocentoquaranta amici su Facebook. I quattro con cui è arrivato in discoteca però, alla fine, lo lasciano a piedi perché fanno fatica a trovarlo. In tutto questo ci dev'essere qualcosa che non funziona.
E' una serata euforica, movimentata. Il locale è strapieno, tutti giovanissimi e con l'unico obiettivo di divertirsi senza mezze misure. Conoscere gente, non pensare a nulla, sentirsi leggeri. Eppure senza bere o senza sballarsi sembra impossibile socializzare. E' una serata speciale, ci sono diversi dj dislocati nelle varie sale ed è un peccato trattenersi solo in una tutta la sera. In ogni angolo del locale c'è qualcuno che conosce, è una forma di consolazione. Si abbracciano da fratelli di strada: vuol dire appartenere a quelli che stanno dalla parte giusta. Poi, terminato il rito, non c'è molto altro da dire. Quella flebile certezza è già una nuova desolazione. Forse girerebbe meglio bevendo un altro cocktail. Ma di gin ne mettono sempre poco questi baristi, e fanno pagare la consumazione come fosse oro. Conviene arrivare al locale già carichi, far alzare il livello alcolico altrove, a prezzi più modici.
La sua compagnia è rimasta vicino al tavolo che avevano prenotato. Lui fa capolino solo ogni tanto. Si fa vedere poi scappa di nuovo. Gli piace essere cercato. Gli piace fare finta di perdersi per poi essere trovato dai suoi amici. Lo fa sentire membro del gruppo, ed un gruppo che ti considera riempie davvero un bel po' di inquietudini. Almeno così gli sembra.
Quando si è leggeri il tempo passa senza che uno se ne renda conto. Data l'euforia iniziale aveva creduto di potersi scatenare fino al sopraggiungere della luce, ed invece alle tre di notte ha già la nausea di tutto e di tutti. Fuori, nel piazzale c'è un andirivieni di auto, molti ragazzi iniziano ad andare via. Qualche genitore è in attesa fuori dalla macchina; c'è gente che vomita nel parcheggio. La musica arriva in modo attutito, più per la confusione mentale che per le pareti insonorizzate della discoteca. La testa gira, poi c'è quel fischio continuo alle orecchie che fa da sottofondo a tutta questa bolgia infernale. Una sola certezza è tangibile adesso: il freddo. "Dove cazzo sono gli amici e dove cazzo ho perso il giubbotto", deve aver biascicato. Vorrebbe infilarsi in qualcuna di queste auto, una qualsiasi. Ma sono tutti estranei e a quest'ora l'eccitazione che serve a socializzare si trasforma in bieca indifferenza. A ventun'anni si può anche fare a meno di qualsiasi aiuto, anzi, affanculo tutti quanti, gli amici, gli estranei, il giubbotto e pure il freddo. Mentre si allontana a piedi dal piazzale asfaltato non ha una metà precisa nella sua testa, solo l'immagine delirante di se stesso che cammina solitario e ribelle.
L'aria della campagna di notte non ha nessun odore, la neve dei giorni scorsi li ha ibernati tutti al suolo. I passi sconnessi e sconclusionati si intrigano nella maggese, il corpo magro taglia il vento gelido senza generare alcun rumore. L'unico momento di lucidità è un istante di terrore, ma dura davvero poco. Sospiri che si impastano col fango.
Quando si è così leggeri il tempo passa veramente in fretta. E' trascorsa tutta la notte prima che tutti quelli che lo conoscono abbiano iniziato seriamente a preoccuparsi. E' bello essere cercati. E' già lunedì quando una delle squadre  arriva a battere la campagna  intorno alla discoteca. Il campo arato è una ricorrenza di segni e di sfumature troppo omogenee. A volte passano a rastrellare un tratto dove credono di essere già passati, invece non era vero. Le chiazze di neve residua che rompono il monotono quadro color terra prendono forme ogni volta differenti: di una nuvola, di un grosso bastone, di un corpo. Le grida di chi ci si imbatte irrompono e squarciano il pomeriggio ansioso, fanno sobbalzare e adunare di corsa tutti quanti. Anche se troppo tardi, gli piace essere stato trovato.
Quattrocentocinquanta amici su Facebook, ventun'anni, tante incertezze che però rimarranno tali. In tutto questo c'è davvero qualcosa che non funziona.

domenica 19 febbraio 2012

Scongiuri

Correre di domenica pomeriggio. Un orario insolito per me. Dopo tre settimane di stop forzato ne avevo bisogno, come un recluso della sua ora d'aria. Cercavo anche una risposta al mal di schiena che è misteriosamente comparso insieme all'influenza. Evitavo di parlarne, non volevo pensarci. Poi oggi il malessere psicologico è svanito, leggero come un sospiro. Di sollievo naturalmente. Reggo. La neve ha reso impraticabile il percorso sterrato che faccio di solito. Per non tornare a casa coperto di fango scelgo quello cittadino. Non c'è quasi nessuno in giro e gli scorci che vedo ogni giorno mi sembrano diversi. Qualche sera fa ho notato alcune persone che facevano running in orario notturno. Una nuova tendenza forse? Li ho osservati con invidia: riappropriarsi del tempo che durante la giornata viene sottratto da altri. Sentire la città più complice, scrutarla in  una prospettiva e in una veste insolita. Accorgersi di cose che di giorno non si sarebbero mai notate. Sentirsi padroni delle strade, degli spalti, delle piazze, dei marciapiedi. Restare coi propri intimi pensieri e con quel sottofondo di silenzio che solo la notte riesce produrre. Penso di farlo presto anche io.
La mia ora è terminata. Controllo il tempo al cronometro, niente male. Appoggio le mani ai fianchi e resto per un attimo a guardare la strada, soddisfatto. Poi le faccio scivolare dietro e tocco con entrambe la schiena. I muscoli sono caldi, difficile dire se farà male, ma ora non sento dolore. Mi basta questo. Mi basta aver trascorso un'ora dove il mio corpo ha viaggiato come una perfetta macchina e la mia mente è riuscita a staccarsene, poteva osservarlo correre o poteva spostarsi altrove, a visitare altre situazioni, ad incontrare altri pensieri, a vivere altre storie. Solo alla fine sono tornati ad riunirsi, lei più arricchita e lui più temprato. Magia della corsa, prodigi di un modesto podista alla ricerca di improbabili certezze.

martedì 14 febbraio 2012

La farmacia di turno

E' quasi mezzanotte, la neve scende densa come un sipario teatrale e quella dei giorni passati è accumulata in modo suggestivo ai lati delle vie. L'influenza del piccolo mi costringe ad uscire, ho bisogno di una farmacia, quella di turno a quest'ora. Faccio sempre fatica a sapere quella aperta. Non ho un quotidiano in casa, provo con internet ma reperisco dati che si contraddicono. Decido allora per un metodo più spartano. Sono già in auto, raggiungo quella più vicino a casa e leggo il display illuminato che intanto pubblicizza un miracoloso prodotto per i capelli. Nell'intermittenza successiva mi dice che la farmacia aperta, l'unica, è dall'altra parte della città. La musica della radio fa da sottofondo alla rigida e desolata notte cittadina. Davanti allo sportellino girevole collegato da citofono c'è diversa gente, tutti in strada, non si può entrare perché l'ingresso è sbarrato. Il marciapiede diventa la nostra anticamera. Un bel cartello avverte che si vendono prodotti solo dietro presentazione di ricetta medica e che verrà applicata una maggiorazione di qualche euro sulla vendita. Tocca a me. Parlo attraverso il microfono con quello che è all'interno. Lo sportellino si apre e mi invita a versare il denaro. La ricetta evidentemente non interessa. Mentre l'accrocco gira, mi sfugge un commento sul prezzo del prodotto, pure maggiorato dal servizio in turno. Non so se il duplex dell'interfono cattura il mio improperio. Al giro successivo arriva quello di cui ho bisogno.
Mentre sono di ritorno a casa mi accorgo di aver dimenticato di acquistare un'altro prodotto, ma rinuncio, lo prenderò domani, di giorno, in una farmacia più vicino a casa, sempre piena di gente anche quella, ma è decisamente preferibile fare la fila al caldo.
La mia sortita notturna mi fa pensare che se un servizio è così richiesto, così necessario, sicuramente anche così redditizio, l'offerta dovrebbe essere ben più ampia. In questi templi della salute si dispensano importanti consigli ed insieme si vendono i prodotti più disparati, dai giocattoli ai prodotti di bellezza. Si parla di liberalizzazioni, e tradotto dovrebbe voler dire prezzi meno cari e offerta più estesa. Speriamo che, a dispetto di interessi economici e dei protezionismi di parte, stavolta il "turno" delle farmacie sia arrivato davvero.