martedì 21 aprile 2009

I should have known better

Snobbare la tv è un esercizio che pratico abbastanza spesso. Il salotto di casa de-catodicizzato e adibito a sala lettura è più che altro un'effimera esaltazione dell'immagine di aspirante famiglia acculturata. Non cambierò mai il mio televisore dell'arcaica profondità di 50 cm: deve rimanere l'oggetto simbolo della tensione psicologica dell'essere umano contro il sistema dell'omologazione in agguato. E poi c'è sempre qualcosa di più importante da fare di sera (mai mi alzerò da quel divano) ed è ancora piacevole parlare, raccontarsi la giornata, dialogare sul futuro prossimo (mi disturba anche solo che mi si chieda "come è andata oggi" e vorrei poter delegare pure il cenno del capo per rispondere a banali comunicazioni di servizio tipo "vuoi un bicchiere d'acqua?"). Il quadretto è perfetto e come si intuisce non c'è spazio di manovra per quelli che, tra una televendita e l'altra, pretendono di intrattenere chi non ha assolutamente bisogno di una somministrazione di sciocchezze.
Eppure qualche volta, chiuse bene le imposte sempre facendo attenzione che nessuno se ne accorga, dopo esserci scambiati pochi, ma ancora piuttosto efficaci, complici e maliziosi sguardi, in punta di piedi azioniamo il tasto che avvia lo scatolone di plastica e vetro bombato. Le valvole ci mettono molto a riscaldarsi, l'immagine prende luminosità un po' alla volta, così come il suono.
Ogni settimana penso: dovremmo smetterla di seguire X-Factor in clandestinità. Vorrei trovare il coraggio per fare outing; d'altra parte siamo o no appassionati di musica? Abbiamo persino velleità artistiche e ambiziosi progetti musicali in corso d'opera, nessuno può smentirlo.
Ma non ci riesco; perchè qualcuno ogni tanto lo chiama "reality"? Dopo l'ultima puntata di domenica, comunque, non è più necessario mostrare finta indifferenza. Posso persino smetterla (mai accadrà) di provare quella incontrollabile invidia verso chi ha ricevuto in dono una voce superiore. Chi suona con me forse sa cosa intendo dire..


lunedì 13 aprile 2009

Paesi






Ogni volta che mi imbatto in una qualche meraviglia del territorio italiano, della quale pochi curano il giusto risalto, non riesco a evitare di fare paragoni con il modo col quale vengono trattate modeste attrazioni che mi è capitato di visitare in certi paesi esteri. Alla signora che ho trovato all'interno di una specie di ufficio pubblico, vicino al centro storico di Farnese, ho raccontato che in Texas, nel mezzo del deserto, siamo stati subdolamente e affabilmente attirati all'interno di un sito nel quale, in un imprecisato passato, si pensa sia caduto dal cielo una specie di sasso. Intorno a questa anonima buca del terreno era stato creato, nell'ordine, un museo multimediale, un centro studi nazionale, la ricotruzione storica dei lavori fatti dai vari ricercatori trovatisi a passare da quelle parti nel corso degli anni nonchè un grande bar tavola calda all'interno del quale è utile meditare sullo sconfinato spirito d'iniziativa americano al termine della surreale visita guidata della durata di circa un'ora.
Sempre alla simpatica donnina di Farnese chiedevo il perchè non fosse rintracciabile alcun cenno turistico nelle suggestive viuzze dove erano state girate le scene più importanti del Pinocchio di Luigi Comencini. Poi anche il perchè non vi fosse alcuna indicazione storica delle opere, dall'aria vagamente importante, all'interno della chiesa parrocchiale: tra tutte l'imponente scena biblica dall'effetto caravaggesco o il vivo San Sebastiano nei pressi dell'altare. Dopo quest'ultima mia citazione iconografica, la fino ad allora paziente impiegata prendeva congedo da noi con finta rassegnazione. Con la sua espressione "cosa volete fare, è così", lasciava trasparire il compiacimento di chi pensa che il dare poca importanza a ciò che si ha è segno di misura, e che la lamentela del visitatore nasconde ammirazione e recondito appagamento del desiderio di scoperta.

mercoledì 8 aprile 2009

Attimi


Lunedì mattina mi ero svegliato con l'idea di pubblicare il divertente video della corsa domenicale di Vignale. Appena accesa la radio, in un attimo, sono rimasto fermo e terrificato. Soprattutto non ho avuto la forza di seguire l'istinto di partire immediatamente. Mi sono detto che un aiuto non organizzato e non inquadrato avrebbe portato solo confusione e che il migliore contributo è quello che può essere inviato a distanza. La tragedia, in realtà, non ha mai conseguenze organizzate e lo spazio per l'iniziativa di chi vuole esserci non passa mai in secondo piano. Ho perso un importante attimo. Anche chi nel profondo della notte non ha dato retta alla sensazione di un momento, o chi non ne ha avuto nemmeno l'occasione, ha perso quell'attimo e anche la vita. Le conseguenze di quegli attimi spaventosi accompagneranno per sempre gli altri protagonisti che hanno perso tutto, sono scampati al nulla e sono rimasti accanto solo alla disperazione.
Quando toccherà alla ricostruzione, se passerà l'idea delle moderne città satellite, quei centri fantasma resternno lì, ancora a ricordarci quegli attimi di paura e impotenza, dove la natura ha imposto il suo istinto e la ragione umana ha misurato i suoi limiti.