mercoledì 28 novembre 2012

La fattoria

La Pederbona è quell'enorme complesso di capannoni, silos e odore forte, appena fuori dalla città, proprio a fianco della provinciale dieci. Allevamento di vacche, ma è difficile avvistare gli animali dalla strada. Non so perché ma l'ho sempre immaginato come un luogo cupo: animali allevati in batteria, in spazi ristretti, artificialmente nutriti e illuminati per produrre latte sfruttandone al massimo le risorse. Poi scopro che l'azienda organizza visite guidate per famiglie. Ci vado una domenica pomeriggio, col piccolo David che ho facilmente convinto pronunciando la parola trattore. E il trattore c'è davvero, lo troviamo subito all'ingresso, d'epoca, verde brillante, perfettamente rimesso a nuovo. Trasporta un carro attrezzato per i visitatori, ma il giro è appena terminato, siamo in ritardo. Però la ragazza che fa da cicerone non vuole deluderci. E' la figlia del dirigente aziendale, un tempo chiamato fattore. Dopo la laurea e un periodo trascorso fuori ora lavora in azienda anche lei, segue le relazioni esterne, il nuovo laboratorio di produzione di gelato, la fattoria didattica.
Ci fa visitare a piedi una parte dell'azienda. Gli animali nella loro quiete ci osservano chiacchierare amabilmente appoggiati ai recinti come al bancone di un lounge bar.
Dopo qualche settimana decido di tornare. La parola magica per David è sempre la stessa, trattore. Stavolta siamo in tempo, ma siamo gli unici visitatori: la temperatura ed il cielo proibitivi hanno scoraggiato  tutti. Ma Alessia non ha esitazioni, fa arrivare il roboante trattore con carro turistico a traino, solo per noi e l'esclusiva visita inizia proprio come ci fosse il tutto esaurito. Ormai ci sentiamo di casa: scendiamo nelle diverse zone, riconosciamo già qualche mucca, proviamo ad indovinarne il nome, mi aveva colpito il fatto che ognuno dei mille e duecento animali presenti, oltre che una sigla identificativa, ha anche un nome di battesimo. Nella zona parto e ispezioniamo la paglia asciutta delle quadrupedi gestanti, ognuna ha il suo recinto e un grande spazio, Alessia dice che hanno bisogno di tranquillità in questa fase. Lei ha due bambini, ne sa qualcosa di cosa di cosa vuol dire partorire. Poi la zona svezzamento, dove i vitellini scambiano  le mie dita per le mammelle; la sala mungitura, un concentrato di tecnologia e organizzazione dei movimenti. Manca solo la musica new age (lei dice che esistono stalle in nord europa dove viene diffusa pure quella). Di tanto in tanto incontriamo delle persone che lavorano lì. Qualcuno di loro ha una specie di turbante. Abitano in Pederbona, negli alloggi della vecchia corte. Con Alessia si scambiano intimamente domande di tipo personale: tuo figlio ha passato la verifica? La tua è si è divertita in gita?. Spesso sono solo i particolari che riescono a raccontano compiutamente un luogo e questo luogo è un bel posto, decisamente diverso da come me lo ero immaginato.

sabato 5 maggio 2012

Tra le e-righe

Una delle sfide del 2012 era il regalare, e soprattutto far utilizzare,  un ebook reader alla Mari, che è una di quelle persone alle quali la tecnologia non va a molto a genio. Questa particolare categoria di individui, pur rendendosi perfettamente  conto dell'importanza dei nuovi mezzi tecnologici, si trova semplicemente a disagio nel maneggiarne uno, uno qualsiasi. Erano a disagio con le prime agende elettroniche, i palmari, addirittura con le calcolatrici scientifiche. Figuriamoci adesso con i pc, i lettori mp3, i tablet, gli smartphone. L'antipatia è naturalmente reciproca: l'oggetto di solito si blocca, smette di funzionare, mostra anomalie che mai si erano verificate prima e che appaiono del tutto inspiegabili.
Ma il nuovo Kindle Touch di Amazon non è un ebook reader qualsiasi. Innanzitutto è bello. E' un piacere toccarlo, tenerlo tra le dita, girarlo, capovolgerlo. Poi ha un catalogo di libri (italiani) pressoché completo. Quasi tutti i grandi classici sono gratuiti. Con un tocco e pochi secondi di attesa si scarica il primo capitolo dell'ultimo best-seller, in prova gratuita. Se si vuole continuare a leggerlo, si acquista. A me è sempre capitato di abbandonare libri inutili già al primo capitolo. Come si vede? L'inchiostro elettronico è un portento d'invenzione; è come leggere su un'ottima carta,  è immune dai riflessi di luce ed il carattere si può ingrandire a piacimento. Appoggiando il dito su un termine ignoto si apre un fumetto con il dizionario: il desueto lemma è svelato ed un nuovo vocabolo si aggiunge alla lista di parole da sfoggiare al momento giusto. Si può sottolineare, scrivere una nota, mettere una piega, virtuale, alla pagina; forse non si riesce a scarabocchiare: ma come si fa ad avere ancor nostalgia del libro di carta?
Ogni volta che lo uso penso all'avvenire delle librerie tradizionali, luoghi dove comunque mi piace ancora andare ogni volta che posso. Certi prodotti editoriali avranno ancora senso tra i loro espositori, come i libri per bambini, le guide turistiche, i libri illustrati, i manuali. Girovagare tra i volumi, aprirli, curiosare tra le copertine, le biografie, sono ancora gesti che desidero portare nel futuro, ma per molte librerie, soprattutto quelle non legate ad una buona catena di vendita, non prevedo prospettive commerciali avvincenti. Quella del futuro (vicino) la immagino così: un luogo di svago, il caffè, il bar e internet come complementi essenziale, grandi spazi di lettura; appoggiando un libro sul tavolo si materializza un video nel quale l'autore si presenta oppure il traduttore parla dell'opera o un attore rivisita il classico; molti accessori in vendita, gadget, stampe, biglietti di concerti ed eventi teatrali.
Arrivo in camera e Mari è gia rapita dalla lettura. Con la mano che non usa per tenere il libro, si aggiusta il cuscino con un aria piuttosto soddisfatta. Preoccupato getto lo sguardo sullo schermo: tutto sembra funzionare normalmente. La mia temibile sfida sta forse per essere vinta.


giovedì 23 febbraio 2012

Leggero

Ventun'anni, quattrocentoquaranta amici su Facebook. I quattro con cui è arrivato in discoteca però, alla fine, lo lasciano a piedi perché fanno fatica a trovarlo. In tutto questo ci dev'essere qualcosa che non funziona.
E' una serata euforica, movimentata. Il locale è strapieno, tutti giovanissimi e con l'unico obiettivo di divertirsi senza mezze misure. Conoscere gente, non pensare a nulla, sentirsi leggeri. Eppure senza bere o senza sballarsi sembra impossibile socializzare. E' una serata speciale, ci sono diversi dj dislocati nelle varie sale ed è un peccato trattenersi solo in una tutta la sera. In ogni angolo del locale c'è qualcuno che conosce, è una forma di consolazione. Si abbracciano da fratelli di strada: vuol dire appartenere a quelli che stanno dalla parte giusta. Poi, terminato il rito, non c'è molto altro da dire. Quella flebile certezza è già una nuova desolazione. Forse girerebbe meglio bevendo un altro cocktail. Ma di gin ne mettono sempre poco questi baristi, e fanno pagare la consumazione come fosse oro. Conviene arrivare al locale già carichi, far alzare il livello alcolico altrove, a prezzi più modici.
La sua compagnia è rimasta vicino al tavolo che avevano prenotato. Lui fa capolino solo ogni tanto. Si fa vedere poi scappa di nuovo. Gli piace essere cercato. Gli piace fare finta di perdersi per poi essere trovato dai suoi amici. Lo fa sentire membro del gruppo, ed un gruppo che ti considera riempie davvero un bel po' di inquietudini. Almeno così gli sembra.
Quando si è leggeri il tempo passa senza che uno se ne renda conto. Data l'euforia iniziale aveva creduto di potersi scatenare fino al sopraggiungere della luce, ed invece alle tre di notte ha già la nausea di tutto e di tutti. Fuori, nel piazzale c'è un andirivieni di auto, molti ragazzi iniziano ad andare via. Qualche genitore è in attesa fuori dalla macchina; c'è gente che vomita nel parcheggio. La musica arriva in modo attutito, più per la confusione mentale che per le pareti insonorizzate della discoteca. La testa gira, poi c'è quel fischio continuo alle orecchie che fa da sottofondo a tutta questa bolgia infernale. Una sola certezza è tangibile adesso: il freddo. "Dove cazzo sono gli amici e dove cazzo ho perso il giubbotto", deve aver biascicato. Vorrebbe infilarsi in qualcuna di queste auto, una qualsiasi. Ma sono tutti estranei e a quest'ora l'eccitazione che serve a socializzare si trasforma in bieca indifferenza. A ventun'anni si può anche fare a meno di qualsiasi aiuto, anzi, affanculo tutti quanti, gli amici, gli estranei, il giubbotto e pure il freddo. Mentre si allontana a piedi dal piazzale asfaltato non ha una metà precisa nella sua testa, solo l'immagine delirante di se stesso che cammina solitario e ribelle.
L'aria della campagna di notte non ha nessun odore, la neve dei giorni scorsi li ha ibernati tutti al suolo. I passi sconnessi e sconclusionati si intrigano nella maggese, il corpo magro taglia il vento gelido senza generare alcun rumore. L'unico momento di lucidità è un istante di terrore, ma dura davvero poco. Sospiri che si impastano col fango.
Quando si è così leggeri il tempo passa veramente in fretta. E' trascorsa tutta la notte prima che tutti quelli che lo conoscono abbiano iniziato seriamente a preoccuparsi. E' bello essere cercati. E' già lunedì quando una delle squadre  arriva a battere la campagna  intorno alla discoteca. Il campo arato è una ricorrenza di segni e di sfumature troppo omogenee. A volte passano a rastrellare un tratto dove credono di essere già passati, invece non era vero. Le chiazze di neve residua che rompono il monotono quadro color terra prendono forme ogni volta differenti: di una nuvola, di un grosso bastone, di un corpo. Le grida di chi ci si imbatte irrompono e squarciano il pomeriggio ansioso, fanno sobbalzare e adunare di corsa tutti quanti. Anche se troppo tardi, gli piace essere stato trovato.
Quattrocentocinquanta amici su Facebook, ventun'anni, tante incertezze che però rimarranno tali. In tutto questo c'è davvero qualcosa che non funziona.

domenica 19 febbraio 2012

Scongiuri

Correre di domenica pomeriggio. Un orario insolito per me. Dopo tre settimane di stop forzato ne avevo bisogno, come un recluso della sua ora d'aria. Cercavo anche una risposta al mal di schiena che è misteriosamente comparso insieme all'influenza. Evitavo di parlarne, non volevo pensarci. Poi oggi il malessere psicologico è svanito, leggero come un sospiro. Di sollievo naturalmente. Reggo. La neve ha reso impraticabile il percorso sterrato che faccio di solito. Per non tornare a casa coperto di fango scelgo quello cittadino. Non c'è quasi nessuno in giro e gli scorci che vedo ogni giorno mi sembrano diversi. Qualche sera fa ho notato alcune persone che facevano running in orario notturno. Una nuova tendenza forse? Li ho osservati con invidia: riappropriarsi del tempo che durante la giornata viene sottratto da altri. Sentire la città più complice, scrutarla in  una prospettiva e in una veste insolita. Accorgersi di cose che di giorno non si sarebbero mai notate. Sentirsi padroni delle strade, degli spalti, delle piazze, dei marciapiedi. Restare coi propri intimi pensieri e con quel sottofondo di silenzio che solo la notte riesce produrre. Penso di farlo presto anche io.
La mia ora è terminata. Controllo il tempo al cronometro, niente male. Appoggio le mani ai fianchi e resto per un attimo a guardare la strada, soddisfatto. Poi le faccio scivolare dietro e tocco con entrambe la schiena. I muscoli sono caldi, difficile dire se farà male, ma ora non sento dolore. Mi basta questo. Mi basta aver trascorso un'ora dove il mio corpo ha viaggiato come una perfetta macchina e la mia mente è riuscita a staccarsene, poteva osservarlo correre o poteva spostarsi altrove, a visitare altre situazioni, ad incontrare altri pensieri, a vivere altre storie. Solo alla fine sono tornati ad riunirsi, lei più arricchita e lui più temprato. Magia della corsa, prodigi di un modesto podista alla ricerca di improbabili certezze.

martedì 14 febbraio 2012

La farmacia di turno

E' quasi mezzanotte, la neve scende densa come un sipario teatrale e quella dei giorni passati è accumulata in modo suggestivo ai lati delle vie. L'influenza del piccolo mi costringe ad uscire, ho bisogno di una farmacia, quella di turno a quest'ora. Faccio sempre fatica a sapere quella aperta. Non ho un quotidiano in casa, provo con internet ma reperisco dati che si contraddicono. Decido allora per un metodo più spartano. Sono già in auto, raggiungo quella più vicino a casa e leggo il display illuminato che intanto pubblicizza un miracoloso prodotto per i capelli. Nell'intermittenza successiva mi dice che la farmacia aperta, l'unica, è dall'altra parte della città. La musica della radio fa da sottofondo alla rigida e desolata notte cittadina. Davanti allo sportellino girevole collegato da citofono c'è diversa gente, tutti in strada, non si può entrare perché l'ingresso è sbarrato. Il marciapiede diventa la nostra anticamera. Un bel cartello avverte che si vendono prodotti solo dietro presentazione di ricetta medica e che verrà applicata una maggiorazione di qualche euro sulla vendita. Tocca a me. Parlo attraverso il microfono con quello che è all'interno. Lo sportellino si apre e mi invita a versare il denaro. La ricetta evidentemente non interessa. Mentre l'accrocco gira, mi sfugge un commento sul prezzo del prodotto, pure maggiorato dal servizio in turno. Non so se il duplex dell'interfono cattura il mio improperio. Al giro successivo arriva quello di cui ho bisogno.
Mentre sono di ritorno a casa mi accorgo di aver dimenticato di acquistare un'altro prodotto, ma rinuncio, lo prenderò domani, di giorno, in una farmacia più vicino a casa, sempre piena di gente anche quella, ma è decisamente preferibile fare la fila al caldo.
La mia sortita notturna mi fa pensare che se un servizio è così richiesto, così necessario, sicuramente anche così redditizio, l'offerta dovrebbe essere ben più ampia. In questi templi della salute si dispensano importanti consigli ed insieme si vendono i prodotti più disparati, dai giocattoli ai prodotti di bellezza. Si parla di liberalizzazioni, e tradotto dovrebbe voler dire prezzi meno cari e offerta più estesa. Speriamo che, a dispetto di interessi economici e dei protezionismi di parte, stavolta il "turno" delle farmacie sia arrivato davvero.

lunedì 9 gennaio 2012

La via del west



Alcuni appunti che ho scritto durante il primo viaggio dell'anno:
"Si parte verso le dieci da Alessandria dove il cielo è plumbeo e carico di pioggia. Verso Genova il sole, fastidioso solo sul parabrezza, mi ricorda che ho lasciato a casa agli occhiali scuri. Un pranzo veloce e di nuovo sull'asfalto, tra poco, finalmente, si abbandona la strada a pedaggio e si prosegue sulla Strada Statale numero uno. L'Aurelia, così la volle il console romano, è una delle più belle strade panoramiche che conosco. Ogni volta evoca storie di una ruralità che assomiglia molto a quella dell'epico west. Baracche, cascine, trattori e trattorie, butteri al posto dei cow boys. Si avvicina e si allontana dal mare senza mai lambirlo. Non è una litoranea, è una strada di passaggio. Non è fatta per ammirare il Tirreno, ma per condurre vite e racconti, progetti o miraggi, sogni e speranze. Qualche cartello scritto a mano libera redarguisce i progetti di trasformarla in autostrada, lucrare su questa via di comunicazione violentandone l'anima. La sua ragione di esistere non può essere delimitata da un casello di entrata e di uscita o sintetizzata su un ticket stampigliato. Tutto è disegnato sul suo scorrere: gli incroci a raso che costringono a rallentare con attenzione, le case addossate alla carreggiata o quelle col viale d'ingresso direttamente sulla banchina, segnato dai grandi pini marittimi che si scagliano sul cielo blu scuro, come un disegno a pastello coi contorni marcati in carboncino. In molti di questi casali mi piacerebbe sostare, vivere quelle storie di provincia per una mezz'ora, fare del mio spostamento la vera anima del viaggio. Avevo iniziato a farlo tempo fa. A Braccagni, vicino Grosseto, c'è una cascina con enormi statue in terracotta decisamente stravaganti, esposte nel giardino e sulla stessa facciata. Ci vive uno strampalato artista che a tempo perso costruisce anche case sugli alberi. Una sosta surreale e stimolante.
Poco dopo il confine con il Lazio c'è la mia solita uscita. Lascio la Route 1, la via dei pascoli, degli artisti, dei ribelli. Una parte importante del mio viaggio è già terminata, purtroppo. Avrei voluto fare una fermata in più, una pausa sotto qualche albero, due chiacchiere vicino qualche bancone da ristoro, poi invertite il senso di marcia e ripercorrerla ancora rivisitando le sue storie con la prospettiva capovolta. Ma sono tranquillo, so che è sempre lì ad attendere il mio passaggio ed a farmi rivivere i suoi racconti riscritti ogni giorno dai viandanti che ne fanno la loro strada maestra.

domenica 1 gennaio 2012

And happy new year


Una splendida giornata di sole ha accompagnato la nostra tradizionale corsa di inizio anno ed i consueti propositi sportivi.