mercoledì 26 ottobre 2011

About Facebook

Ieri sera l'argomento di conversation della lezione di inglese era Facebook. Arrivato il mio turno, ho detto che i miei amici scrivono continuamente un sacco di cose stupide. Ripensata in italiano, non è una frase di cui andare orgogliosi. È come dire che ho molti amici sciocchi, ma gli amici sono quelli che uno di solito si sceglie e quindi quelli che ci si merita. In realtà le cose sono un po' diverse. La maggior parte delle persone che ho aggiunto sono lì perché mi dispiaceva dire di no e perché alla fine non è così grave chiamare tutti amici ed averne pure un gran numero. È un fatto insito nel meccanismo del sito, nel significato deviato della parola amico, nel mio modo sicuramente snob di parlare di un luogo virtuale che essendo frequentato da tutti, annichilisce ogni illusione elitaria.
Nei rapporti con le persone sono alla costante ricerca di un arricchimento. È per questo che divento asociale quando ci si imbatte nel classico parlar di niente, oppure in cliché, luoghi comuni o frasi di circostanza. Su Facebook è ancora peggio, perché di solito la sequela di appelli accorati da leggere, di assurdi link da aprire, di patetici video da scaricare e di nostalgici epiteti da commentare, oltre a non arricchirmi, mi fa perdere un sacco di tempo. La teacher invece è entusiasta del social network. Vivendo in un paese straniero è il suo unico modo per tenersi in contatto con famiglia, amici, persone care, per non sentirsi isolata. Neanche io voglio sentirmi isolato, continuerò a visitare Facebook, saltellare tra gli aggiornamenti, mandare gli auguri agli amici che non vedo di persona, sorridere degli appelli improbabili, delle situazioni sentimentali complicate e degli stati d'animo perturbati. Cercando di accorgermi del tempo che scorre, uscire e dedicarmi a qualcuna delle altre inutilità quotidiane.

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mercoledì 19 ottobre 2011

Break Different

Lo Starbucks Coffee non sbarcherà mai ad Alessandria, ma adesso non ne abbiamo più bisogno. Certo, con la nota catena di bar potevamo sentirci parte di una grande comunità, seduti a sorseggiare il caffè lungo nel bicchierone di carta plastificata, col nostro computer portatile in navigazione internet, quell'aria da eterno viaggiatore, eterno studente, eterno utopico sognatore. Immersi nei nostri mille pensieri, nel capoluogo del basso piemonte così come a San Francisco oppure ad Hong Kong.
E invece tre ragazzi di queste parti hanno inventato l'IBar. Lo hanno disegnato con linee moderne, arredi essenziali, una grande vetrata che si affaccia su una strada di transito, di fronte ai giardini pubblici della stazione ferroviaria. Il concetto di viaggio c'è sempre. E anche vicino a molti uffici importanti della città, un posto dove è piacevole trascorrere la sosta veloce o la pausa pranzo.
Si sono ispirati, sin dal nome, alla filosofia Apple: pochi colori, il bianco domina; alcune frasi di Steve Jobs trasferite sulle pareti; una serie di Ipad sui tavoli e sui banconi ad uso gratuito dei clienti; la rete wi-fi. Eppure l'Ibar (sottotitolo Innovation bar and relationship) ha una linea nuova, merita di fare successo o di diventare, come i tre soci si augurano, l'inizio di una nuova catena commerciale. E poi in fatto di idee originali sembra che pure il grande Picasso un giorno abbia detto che i bravi artisti copiano, mentre i grandi artisti rubano.
Mi assicurano che di sera, con il deejay che diffonde le sonorità adatte,  l'atmosfera cambia completamente e le innovative luci d'ambiente stravolgano l'effetto diurno. Mi riprometto di provare l'esperienza. Nell'attesa mi gusto il caffè in tazzina: rigorosamente nostrano ed eccezionalmente buono.
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venerdì 7 ottobre 2011

In my shoes

Eccole: immacolate e brillanti, col profumo di plastica e gomma di buona qualità, con il fondo ancora lucido, tutte le scritte stampate in modo intenso, il laccio bianco candido e gli inserti colorati in evidenza, la forma e la silhouette intatte. Sono appena arrivate a casa e si apprestano a sostituire le vecchie gloriose scarpe da running che saranno costrette ad uscire e abbandonare il tetto che per quasi due anni le ha custodite. Da tempo mi sono imposto di evitare l'accumulo di oggetti non propriamente necessari. Quelli che dici "ma non si sa mai, possono sempre tornare utili", o "magari un giorno li vai a ricercare", oppure "poi qualcuno ne ha bisogno e te li chiede",  "teniamoli lì di riserva" e così via. Niente di tutto questo, prima ancora di riflettere sulle ipotesi di una futura utilità me ne libero in modo irreversibile. Non mi affeziono mai alle cose materiali e questo rende facile il distacco. Per questo paio di scarpe però è diverso e provo un piccolo fastidio ad abbandonarle al loro destino di rottame. Mi hanno assistito in un sacco di corse sofferenti, calzarle ed allacciarle con cura è stato il piccolo rito propiziatorio prima di ogni gara, riporle nello scaffale del buio ripostiglio un modo per farle riposare dopo lo sforzo sperando di ritrovarle più cariche al successivo. Si, per la scarpa è diverso. Vale un po' di più delle altre cose di cui ci circondiamo. In inglese si dice "nelle sue scarpe" per dire di stare al posto di qual'un altro; "la salute e un paio di scarpe nuove" è un proverbio che ricorda l'essenziale che dovrebbe stare davvero a cuore.
Forse imbustandole per l'indifferenziata farò finta di dimenticarmele in qualche angolo oppure appoggerò anche queste fuori dal portone aspettando che il solito misterioso passante le porti via soddisfatto. Le mie scarpe vecchie, disfatte ed impolverate, mi chiedono mestamente di poter continuare a dire la loro.

giovedì 6 ottobre 2011

Stay Jobs

Solo ieri sera avevo chiuso il libro "Nella testa di Steve Jobs" a pagina 185 prima di addormentarmi. Avevo deciso di leggerlo quando quasi due mesi fa il CEO aveva lasciato la sua Apple. Pensai volesse uscire di scena per permettere alla sua creatura di andare avanti accompagnata da qualcun'altro così da sopravvivergli e farlo sopravvivere. Sono entrato nel suo mondo fatto di meticolosità, eccellenza, fiuto, genialità. Un giorno parlerò al mio piccolo citando il suo leggendario discorso ai giovani della Stanford University. Bisogna seguire le proprie intuizioni e il proprio cuore; il tempo a nostra disposizione è troppo limitato per sprecarlo vivendo la vita di qualcun'altro. E il suo tempo è stato ancora più breve e nonostante questo la sua esistenza è bastata a lasciare un così grande segno per tutti. Lo hanno chiamato genio, lungimirante, visionario. Non ha anticipato il futuro, lo ha solo disegnato secondo la sua visione, non secondo i bisogni della massa. Non credeva ai sondaggi, la gente non sa quello di cui ha bisogno semplicemente perché non è stato ancora costruito, quindi è inutile chiederglielo. Non ha dato prodotti di consumo ma oggetti pensati per la felicità del loro utilizzatore. Non per complicargli le cose ma per semplificare il suo interagire con la realtà. Una missione, una necessità dell'intelletto che è riuscita anche a fregarsene del business a tutti i costi. Una unicità così magnifica che da questa notte non esiste più, e che invece resterà per sempre.
RIP

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