domenica 12 ottobre 2008

Baloon



Città che vai, mercatino che trovi.

Più che una regola una piacevole mania, per me, la caccia al mercato delle pulci del quartiere o della città nella quale mi trovo a passare. Oltre che riempirmi la casa di cianfrusaglie, ma non è quella di acquistare l'attività che più mi attrae dei mefitici mercati, ne ho tratto anche delle piccole massime, insegnamenti di filosofia breve. Ogni ritrovo di vendita all'aperto ha, pur nella molteplicità della sua confusione, un sentimento distintivo, a volte completamente alieno al carattere della città che lo ospita. Spesso ne è il suo lato oscuro, il suo alter ego, la parte timida o la quella che avrebbe desiderato diventare, la sfacciataggine oppure la santità, la coscienza o la trascuratezza, che affiora magicamente tra le strade dei suoi isolati.

Acquisterei una casa in due capitali europee solo per poter passeggiare periodicamente al Portobello londinese o al Rastro di Madrid. Registrarne gli umori, scoprirne gli arrivi, sognare di posare l'occhio sull'oggetto introvabile.

Sabato mi aggiravo in quello che viene chiamato il "Baloon" della multietnica Torino, nella zona di Borgo Dora. Fascino e inquietudine al tempo stesso. L'offerta di merce della categoria più impensabile accanto a quella più tipica e rassicurante. Il modo col quale viene esposta lascia immaginare al modo attraverso cui è stata reperita. Quella polverosa e umida sa di cantine o soffitte pazientemente svuotate per quattro soldi. Quella che si presenta più pulita sa invece di luoghi svuotati senza che il proprietario vi abbia acconsentito. Tutto appare provvisorio, pronto a saltare in aria, c'è vento di allegria e spensieratezza accanto all'impressione di saccheggio apocalittico in fase di redistribuzione. Quest'ultima sensazione, ironicamente, pare ben adattarsi ai tempi di crisi economica che, come oscure e minacciose nubi, sembrano ahimè ammassarsi sui nostri cieli autunnali.

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